martedì 29 dicembre 2020

"A regola d'arte la street art tra didattica della legalità e paradosso della trasgressione" di Donatella Fantozzi

 “Sul finire del 2020 esce questo mio lavoro per il quale desidero ringraziare due care colleghe e amiche, Maria Antonella Galanti e Tamara Zappaterra che, proprio in quanto tali, hanno saputo incoraggiarmi ad approfondire un tema di ricerca apparentemente paradossale: si può insegnare il rispetto delle regole attraverso l’arte e in particolare l’arte di strada? Un ringraziamento particolare a Federico Vicari, in arte Fritz Vicari, giovane e bravissimo illustratore che ha letto i miei pensieri trasformandoli in questa bellissima copertina”.


"LA PEDAGOGIA DI LORENZO MILANI" DI EDOARDO MARTINELLI

 Il “segreto” della didattica di Don Milani era lo strumento dialogico e il lavoro di gruppo che era regolato per livelli differenziati di età in cui i più grandi insegnavano ai più piccoli. La ricerca dell’espressione orale e degli etimi, la lettura quotidiana del giornale, la continua corrispondenza con gli alunni lavoratori all’estero (erano circa una decina tra Francia, Germania, Inghilterra e Africa) e l’interazione sociale degli alunni costituivano i punti di forza di una scuola in cui il fare domande era più importante che dare risposte preconfezionate. La capacità di interrogarsi sulle cose, cercando le risposte e le soluzioni possibili dava, ad alunni bollati dalla scuola pubblica come “ritardati” e privi di capacità intellettive, nuova motivazione e rinnovato entusiasmo ad apprendere. Don Milani trasformava letteralmente in pochi mesi degli “incapaci falliti” in persone motivate allo studio, in grado di dare un senso alla loro esistenza e di recuperare il rapporto con il sapere che era stato guastato dalle richieste insensate di una scuola pubblica borghese, disciplinarista e selettiva.

A Barbiana la scuola era principalmente una comunità educante perché collaborativa e non luogo di competizione e di apprendimenti astratti e ripetitivi.

Nel suo intervento Edoardo Martinelli ha sottolineato come a Barbiana si realizzasse una pedagogia dell’aderenza alla realtà che offriva spunti occasionali di apprendimento subito tradotti in motivi profondi di vera conoscenza. In questa scuola la cultura si trasformava in azione e ricerca di significati, si sviluppava la consapevolezza dell’essere umano, il senso critico, la capacità di risolvere problemi in un tempo diluito e a misura umana senza trimestri, pagelle, verifiche, promozioni e bocciature. Era una scuola straordinaria, unica nel suo genere e nel suo essere che può offrire ancora oggi importanti spunti operativi utilizzabili nella scuola di oggi che talvolta sembra invece aver smarrito la sua missione e il senso stesso della sua ragione di essere.  (Pietro Sacchelli)


sabato 10 ottobre 2020

Ma è proprio necessario introdurre nelle scuole l’educazione digitale?

 

Ma è proprio necessario introdurre nelle scuole l’educazione digitale?

10 Ottobre 2020

di Umberto Galimberti

Articolo tratto da "La Repubblica" del 10/10/2020

Dissento fortemente dalla proposta di Paola Pisano, Ministro dell’Innovazione Tecnologica e della Digitalizzazione, di inserire nei programmi didattici una nuova materia per promuovere competenze digitali. Le motivazioni: “solo il 22% degli italiani tra il 16 e i 74 anni ha competenze digitali superiori a quelle di base”. Il dato non è affatto significativo: ci si doveva chiedere quale fosse la percentuale con competenze digitali superiori a quelle di base tra i 6 e i 26 anni di età, che è poi l’età scolare, dove si troverebbe una percentuale decisamente più elevata.
Continua la Ministra per avvalorare la sua tesi: solo un esile 1% dei laureati ha conseguito una laurea in Tic (Tecnologia dell’Informazione e della Comunicazione) quando, secondo l’Osservatorio delle competenze digitali, ne sarebbero serviti 15mila in più. La soluzione è molto semplice: si elimini il numero programmato o si riducano le tasse universitarie in quei corsi di laurea. E a quali materie togliamo ore per inserirne un’altra di dubbia necessità? Si preferirà una materia che insegna “la storia dell’innovazione” a una che già esiste che insegna la Storia, una materia che insegna “il diritto nei canali digitali” a una che già esiste che insegna il Diritto, una materia che insegna “l’utilizzo dei big data” a una materia che già esiste, la matematica, che insegna a gestire la complessità.

È chiaro che a voi ministri dell’Innovazione Tecnologica e della Digitalizzazione non ci si può rivolgere per pensare e attuare una rivoluzione sensata per la scuola. Altro che digitalizzazione: ci vuole la scuola che, come quella di una volta, insegnava a fare riassunti, insegnava le tabelline, insegnava la storia, una scuola capace di bocciare, rimandare e promuovere per merito, una scuola che non produceva disgrafici perché faceva l’esercizio del dettato, non produceva dislessici perché faceva l’esercizio della lettura, una scuola che tentava di reinserire quelli che oggi vengono chiamati BES, anziché abbandonarli alla loro condizione di presunta inferiorità, una scuola che insegnava a pensare.
Silvia Bastia
silviabastia17@gmail.com

Pur tagliandola, perché avrebbe occupato da sola l’intera pagina, le ho lasciato anche gran parte dello spazio della mia risposta perché condivido tutto della sua lettera, a partire dalla mia persuasione che compito della scuola fino a 18 anni è avere come ob­biettivo la formazione dell’uomo prima delle sue competenze, comprese quelle digitali che gli studenti già conoscono meglio dei loro professori. Ma la scuola italiana non è mai stata pensata per l’educazione dei giovani, ma fondamentalmente come creazione di posti di occupazione per insegnanti, senza preoccuparsi se, oltre alla loro preparazione non sempre garantita, gli insegnanti avessero una vera motivazione e predisposizione a questa professione, fossero davvero capaci di comunicare, di interessare, di affascinare, cosa che è facilmente verificabile con un test di personalità. E inoltre, avessero conoscenze approfondite di psicologia dell’età evolutiva, dal momento che hanno a che fare con ragazzi che si trovano in quella stagione incerta della loro vita che si chiama adolescenza. Qui passa la differenza tra “istruzione”, che è pura trasmissione di contenuti culturali, ed “educazione” che si prende cura delle differenze di intelligenza di ciascuno studente e delle vicissitudini emotivo-sentimentali che inquietano il loro cuore. Già Platone avvertiva che la mente non si apre se prima non si è aperto il cuore.

Ma per questo è necessario avere classi di 12 o 15 studenti e non di 30 per risparmiare stipendi. E proprio approfittando della pandemia che ci ha colpito potremmo rendere definitiva e strutturale la riduzione delle presenze in classe, mentre si sentono proposte di approfittare dell’esperienza, per altro disastrosa, dell’insegnamento a distanza per rendere questa modalità, se non proprio strutturale, quasi. Con questo tipo di proposte sempre più tecnologiche e sempre meno culturali, possiamo ancora avere qualche speranza per un rinnovamento radicale della nostra scuola? Io non ne ho più. Per quanto riguarda i problemi da lei sollevati nella seconda parte della sua lettera risponderò nel prossimo numero.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

giovedì 20 febbraio 2020

"SASHA E IL PAESE SCOMPARSO" DI LUCIA TORTI


                                    Sasha e il paese scomparso

Da dove sono venuto?
Dove mi hai trovato?
Domandò il bambino a sua madre.
Ed ella pianse e rise allo stesso tempo
e stringendolo al petto gli rispose:
tu eri nascosto nel mio cuore, bambino mio,
tu eri il suo desiderio.
Rabindranath Tagore